Protagonista di una storia lunga circa 3000 anni prima Bisanzio poi Costantinopoli e oggi Istanbul. Punto d’incontro tra due continenti, adiacenti ma per molti versi lontani,Istanbul è anche il luogo degli opposti: spiritualità e rumore,le moschee e le chiese cattoliche, tradizione e voglia di rivoluzione ,cura e decadenza,colori caldi e cieli plumbei, profumo di spezie e odore di smog, il tradizionale the caldo e i cocktail dei locali più in voga, la gente che ti sorride e quella che ti guarda con diffidenza (o totalmente indifferente), il gran bazar e negozi di İstiklal Caddesi….
Sintetizzando Istanbul è una metropoli globale fusa tra storia e vita moderna.
Conoscerla davvero forse è impossibile, composta da così tante anime e culture diverse. Per vederla più da vicino, però, si possono usare gli “occhi” di chi l’ha osservata e come disse Alphonse de Lamartine : “Se a un uomo venisse concessa la possibilità di un unico sguardo sul mondo, è Istanbul che dovrebbe guardare.”
La Processione del Venerdì Santo è l’apice dei riti pasquali ad Enna. Per le vie della città, tutta saliscendi e vicoli tortuosi, sfilano in silenzio circa duemilacinquecento confrati incappucciati, dotati di torce e ceri ad illuminare suggestivamente il percorso. Oltre agli ennesi, moltissimi devoti e turisti arrivano in città per assistere alla grande processione. Non a caso, la Processione del Venerdì Santo di Enna è considerato un evento sacro a richiamo turistico internazionale e la Settimana Santa di Enna è un bene protetto dall’Unesco. I riti sacri vengono avviati dalla celebrazione della “Passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo” che si tiene al Duomo e in tutte le chiese parrocchiali. Essa consiste nella “Liturgia della Parola” che ha il suo culmine nella lettura del brano evangelico della “Passione del Signore” secondo Giovanni. Segue l’Adorazione della Croce. Intorno alle ore 17:00, dalla parte superiore della città, i confrati del SS. Salvatore percorrono in processione le vie fino al Duomo al fine di portarvi il fercolo del Cristo Morto. Salendo verso il Duomo, la Confraternita della Passione porta, secondo un ordine ben preciso lungo le due file, i cosiddetti “Misteri”, ovvero i simboli per fare memoriale della passione di Cristo: la lanterna che condusse i soldati al Getsemani, la spada di cui San Pietro si servì per tagliare l’orecchio di uno dei soldati, un guanto simboleggiante le mani di Ponzio Pilato, la corona di spine posta sul capo di Gesù, i flagelli con i quali venne frustato, il tamburo che scandì l’ascesa al Calvario, il velo con cui la Veronica asciugò il volto insanguinato del Cristo, i chiodi con i quali fu crocifisso, la scritta “INRI” posta sulla sommità della croce, i dadi che furono usati dai soldati romani per tirare a sorte le vesti da contendersi, la lancia con la quale Gesù fu ferito al costato, la scala con la quale fu deposto dalla croce, il calice da cui Gesù bevve nell’ultima cena, la borsa con i trenta denari per i quali Giuda tradì il suo maestro, le funi con cui fu legato, il mantello rosso che lo coprì nel pretorio, una colonna di marmo che ricorda il luogo dove Cristo fu frustato, la canna che gli fu messa tra le mani, la bacinella e la brocca con cui Ponzio Pilato si lavò le mani, la croce che fu caricata sulle spalle di Gesù, il martello che servì per conficcare i chiodi, la tenaglia adoperata per toglierli, la spugna imbevuta di aceto che gli fu data per dissetarsi e il sudario nel quale fu avvolto prima di essere deposto nel sepolcro. Infine, il gallo, vivo, ornato con nastri multicolori, che cantò quando San Pietro rinnegò per tre volte di conoscere Gesù. Intanto, le confraternite arrivano in Duomo, vi entrano e vi defluiscono attraversando la navata centrale, rendendo omaggio al Cristo Morto e uscendo dal portale secondario, in modo da esser già pronti per l’inizio della Processione vera e propria. Terminata l’esposizione del fercolo dell’Addolorata, esso viene portato a spalla dai confrati verso il Duomo, con un ritmo lento e ondulatorio, accentuato dalle marce funebri che sottolineano la tragedia della madre di Gesù che piange suo figlio morto. Il fercolo della Madonna Addolorata viene così posizionato all’interno della Chiesa Madre dove l’attendeva l’urna del Cristo Morto. Alle ore 19:00 circa i fercoli di Gesù e dell’Addolorata, preceduti dalla Spina Santa e seguiti dalla banda musicale, cominciano a muoversi in processione, scendendo lentamente la scalinata della Chiesa Madre sulle note di alcune marce funebri. Vengono poi posti al centro di una Piazza Duomo stracolma al fine di ricevere l’adorazione e le preghiere di una folla silente. Successivamente, la processione scorre lenta attraversando tutte le piazze e le vie protagoniste della vita cittadina fino a raggiungere intorno alle 20:45 il vastissimo piazzale antistante il cimitero comunale. Qui, da un palco appositamente allestito, viene impartita la solenne benedizione. Dopo questa sosta, la processione riprende. Nonostante l’ora tarda, una folla resta a veder rientrare la processione in Duomo. Poi, l’urna del Cristo morto viene riportata nella propria chiesa e il fercolo dell’Addolorata, preceduto da tutte le confraternite, fa ritorno per la via Roma alla Chiesa del Mercato S. Antonio, dove praticamente finisce la Processione del Venerdì Santo ennese.
Ti concedi qualche giorno di vacanza ma vorresti anche fotografare senza,però,rinunciare alla…vacanza stessa…allora con tutta spensieratezza ti porti una “toy camera” #Yaschica #Y35 e qualche “rullo” #digifilm200 ed il gioco è fatto !
Saranno sfocate,non esposte correttamente, distorte e perchè no anche composte male ma di contro mi sono davvero divertito ! #senzapensieri #senzapostproduzione #analogicodigitale #digitaleanalogico.
La festa cade sempre il 20 di Gennaio. Sin dal primo mattino si riuniscono davanti la chiesa di Santa Maria Assunta e per le vie del paese i “nudi”. Loro sono i devoti di San Sebastiano, cioè coloro che hanno fatto voto ad esso. Gli uomini, scalzi, vestono tutti di bianco con un fazzoletto legato al cinto in modo che due punte di esso scendano sul davanti, le donne sempre di bianco vestite portano il fazzoletto in testa e ad esse, come anche ai bambini, è permesso indossare delle calze sempre di colore bianco. Ciò come ricordo e simbolo della nudità di Sebastiano durante i due martiri. Ai nudi soltanto è permesso portare in processione il Santo posto sulla grande vara lignea finemente intagliata e decorata.Al rito religioso in onore di San Sebastiano Martire , partecipa anche il Sindaco di Tortorici con la giunta, continuando una secolare tradizione che prende il nome di Senato. I Giurati nel ‘600, i Senatori nel ‘700 e i Sindaci dal ‘800 in poi (autorità politiche nella Città), preceduti dai mazzieri si recavano in Chiesa consegnando, in segno di omaggio al Santo, le chiavi della Città.Conclusi i riti nella chiesa di Santa Maria Assunta il Santo viene portato in processione per le vie del paese, in primo luogo al fiume Calagni dove avviene la benedizione da parte del parroco. Successivamente si effettua la “questua” per le vie della città. Alla fine della giornata, il Santo viene portato nella chiesa di S. Nicolò dove resterà sino alla domenica più vicina al 28 Gennaio, l’Ottava, durante la quale verrà di nuovo portato in processione e sarà ripresa la questua in modo da ricoprire l’intera area cittadina. Il Santo viene infine riportato nella chiesa di Santa Maria Assunta dove, prima di rientrare, i nudi, fanno eseguire alla vara 3 giri della piazza con il tipico e suggestivo “balletto”.La festa si considera conclusa il lunedì seguente all’ottava, giorno in cui si svolge la cosiddetta “Missa du Pirdunu”durante la quale si effettua la sostituzione del cotone nel Reliquiario di San Sebastiano e la distribuzione dei frammenti ai fedeli.
Nel gennaio del 1968 un violento terremoto rase al suolo la città di Gibellina, nella Valle del Belice, in Sicilia. Molti tra i maggiori artisti italiani furono chiamati a realizzare le loro opere per abbellire la nuova Gibellina che sarebbe stata edificata. Uno di loro, Alberto Burri, volle lasciare il suo segno nel vecchio borgo distrutto.
Burri progettò un gigantesco monumento della morte che ripercorre le vie e vicoli della vecchia città: esso infatti sorge nello stesso luogo dove una volta vi erano le macerie, attualmente cementificate dall’opera stessa . Dall’alto l’opera appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un paese. Ogni fenditura è larga dai due ai tre metri, mentre i blocchi sono alti circa un metro e settanta e ha una superficie di circa 85000 metri quadrati, facendone una delle opere di land art più estese al mondo oltre all’indelebile ricordo di quel dramma terribile che fu il terremoto della Valle del Belice.
È un’opera da sentire, un monumento alla memoria di chi è morto, da visitare in silenzio. L’opera venne realizzata parzialmente e completata solo nel 2015
«Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Una stradina tortuosa, bruciata dal sole, si snoda verso l’interno del trapanese fino a condurci, dopo chilometri di desolata assenza umana, ad un cumulo di ruderi. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento. »