La città di Gibellina Nuova è stata costruita ex novo in seguito al terremoto che nel 1968 distrusse la maggior parte dei comuni della valle del Belice, in provincia di Trapani. Il sito su cui sorge l’attuale centro abitato dista diciotto chilometri dai ruderi del vecchio paese in cui Alberto Burri ha realizzato l’opera memoriale di land art Grande Cretto. La nuova città è sorta secondo criteri moderni ispirati all’architettura postmoderna e concettuale. Ha pianta ellittica e centrifuga, nessun centro aggregante dove convergono le strade. Queste ultime sono lunghe e larghe, ottime vie di fuga in caso di necessità, le case, tutte nuove, ordinate. Nel 1970 l’amministrazione guidata dal sindaco Ludovico Corrao scelse di accompagnare l’edificazione della nuova Gibellina con un ambizioso progetto di arredo urbano che l’avrebbe trasformata nel più grande museo a cielo aperto d’Italia. Artisti e architetti di fama internazionale furono invitati a riformulare l’aspetto della nuova città antisismica, attraverso una serie di interventi per lo spazio pubblico che comprendessero sia il riassetto urbanistico dei luoghi maggiormente rappresentativi della vita collettiva, sia la produzione di oltre cinquanta opere d’arte, sculture e installazioni da collocare in tutto il tessuto urbano. Le opere accolgono il visitatore sin dall’entrata in città, dove è collocata la Stella d’ingresso al Belice realizzata da Pietro Consagra nel 1981, considerata ormai il simbolo del territorio.
Francesco Merlo, all’indomani della morte di Corrao, ebbe a definire su La Repubblica un “disastro spettrale”. Durissimo era stato il giornalista dell’Espresso Mario La Ferla, nel suo libro-inchiesta Te la do io Brasilia (2004): “È sotto gli occhi di tutti che queste opere, sul cui valore ovviamente non si discute, siano adesso in condizioni di abbandono, e Gibellina appaia come una città fantasma dove gli abitanti dichiarano di non trovarsi a proprio agio. Si è preferita l’arte ai servizi di pubblica utilità”. La nuova Brasilia, progettata da audaci architetti, che Corrao completò con la sua impresa artistica monumentale, nasceva già come un luogo alieno, una moderna polis pianeggiante, senza un centro e senza cuore, non modellata sul profilo della piccola comunità di pastori e contadini.
Se c’è una cosa che lega le due Gibelline, è il silenzio: